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Non accettare caramelle dagli sconosciuti

cappuccetto
Quando ci chiediamo perché molti uomini e anche alcune donne rifiutino di considerare violenza sessuale qualsiasi situazione che si discosti dal loro immaginario, faremmo bene a domandarci di quale immaginario si tratti, e quali siano i riferimenti socio- culturali di tali persone. Secondo questi illuminati pensatori, infatti, una situazione di violenza sessuale, e in particolare di stupro (giacché a loro avviso, senza coito, parlare di violenza sarebbe alquanto ozioso), prevede due o più attori che, come marionette, agiscono secondo uno script ben preciso; un copione che pare tratto da un’agiografia: genere letterario, va detto, che non brilla certo per originalità della trama.
Questo schema rigido ha come protagonisti una donna, se possibile dalla reputazione immacolata (aver avuto più di due, tre partner sessuali ne mina la credibilità); uno o più uomini, se possibile brutti, sporchi, cattivi e magari immigrati (una punta di razzismo non guasta mai ed è rassicurante: Lombroso docet, sempre).
La donna in questione non deve conoscere in alcun modo il proprio aggressore, e deve rappresentare lo stereotipo della brava madre di famiglia, o in alternativa della giovinetta senza grilli per la testa (niente sesso con partner casuali, niente abiti scollacciati, niente locali notturni, niente alcol, niente caramelle dagli sconosciuti, e così via).
La violenza sessuale avviene ex abrupto, in un luogo appartato dove la vittima sta svolgendo attività del tutto innocue (una corsa al parco, una passeggiata, una serata in spiaggia a riveder le stelle, eccetera). L’aggressore, la coglie alla sprovvista, in un raptus (che cosa significhi questa parola tanto cara ai giornalisti di cronaca, rimane un mistero) di violenza improvviso e inspiegabile. Lo stupratore è quasi sempre armato e, qualora non lo sia, è comunque corpulento e rude. Minaccia la vittima con un coltello o con una pistola. Nel caso non sia armato, la picchia selvaggiamente, per poi stuprarla.
Lei, la vittima, grida e si ribella: altre reazioni, come quella di rimanere pietrificata o di permettere all’aggressore di usarle violenza per salvarsi la vita, non sono previste, poiché darebbero adito a qualche chiacchiera sulla sua totale innocenza. Ma concludiamo: la vera vittima grida e si ribella fino all’ultimo, anche a costo di essere massacrata di botte o uccisa. C’est tout.
Se esiste una vera vittima di violenza, ne consegue che debba esistere anche una falsa vittima. Una vittima non proprio senza macchia; diciamo pure svampita, vanesia, sciocchina; una vittima che, a causa del proprio comportamento non del tutto irreprensibile, eccita l’istinto predatorio maschile. Non è forse vero infatti che, come i custodi del patriarcato (ah, questa parola, che tormento!) ci ricordano ogni giorno, l’uomo possiede il naturale istinto della caccia, e che quindi gli è quasi impossibile resistere alla vista di un paio di gambe ben tornite?
Va da sé che, a differenza della vera vittima, la falsa vittima di solito conosca, e molto bene, l’aggressore. O che, nel caso di un perfetto sconosciuto, dimentichi per un momento la regola aurea: mai accettare caramelle dagli sconosciuti.
La falsa vittima è dunque quella che accetta le caramelle: magari un passaggio in auto da un carabiniere un po’ troppo zelante che si offre di soccorrerla, per poi stuprarla sul pianerottolo di casa: che cavalleria d’altri tempi! La falsa vittima è quella che non grida e non si ribella, non perché abbia paura, o sia incapace di reagire, o ancora perché la diseguaglianza di potere tra lei e il proprio aggressore sia troppo grande; non perché si senta colpevole di aver accettato un invito a cena, un appuntamento; non perché l’aggressore sia il proprio marito, fidanzato, ex compagno. No: lei non grida e non si ribella perché in fondo un po’ di colpa ce l’ha. Se l’è cercata, ha taciuto per vent’anni, ha aperto la porta di casa, si è fidata di un ragazzo appena conosciuto su Tinder e ha accettato di incontrarlo. Ma quale vittima? Incosciente, irresponsabile, puttana. Approfittatrice, carrierista, donnaccia. Non lo sai come va il mondo? Non è che poi, a dirla tutta, ti è anche un po’piaciuto?
La vera vittima, in questo immaginario, è  una soltanto: Maria Goretti. Lei sì, che si è ribellata e si è fatta ammazzare.
Se non ti fai ammazzare, dunque, se hai paura e il tuo rifiuto non risuona forte e chiaro, non sei una santa. E se non sei una santa, in un paese dove i riferimenti sono ancora di matrice catto-fascista, non puoi essere altro che una puttana.

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Grazie a Giulia Sara Miori

 

 



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